Slegare la bestia: aggiornamenti dal Pigneto.


La vicenda del Pigneto si complica con l’intervista al “capo” che a suo dire sarebbe andato lì per risolvere a cazzotti “uno contro uno”, come si fa al quartiere, la vicenda del portafogli. Niente svastiche, anzi, tanto amore per il Pigneto, qualche annetto di carcere alle spalle e pure un Che Guevara tatuato sul braccio. Il branco era invece formato da ragazzetti del quartiere che conoscevano la storia del furto e, di testa loro, avrebbero trasformato il regolamento di conti in una spedizione punitiva contro la comunità bengalese, usando i caschi e tutto il resto. La versione del tizio, in procinto di andarsi a consegnare alle autorità è questa. Vera o edulcolorata che sia, la rappresaglia per un singolo crimine estesa a tutta una comunità di immigrati resta la sostanza della vicenda. Il comportamento squadristico, l’assenza dello Stato e il generale clima di merda restano tal quali. Racconta l’intervistato come una sua vicenda personale si sia trasformata in qualcos’altro:

“A pezzi de merda che state a fa’? Annatevene da lì, a rincojoniti![…]come ho letto sui giornali, dicono che hanno sentito “il Capo” dare ordini in italiano. Ma quali ordini? Io li stavo a mannà a fanculo perché mi era presa paura. Avevo capito che casino stava montando.[…]Avevo capito che, senza volerlo, avevo slegato la bestia.”

Il rischio di slegare bestia è proprio quello da cui l’Italia deve guardarsi.

Slegare la bestia. Quando si dice una metafora perfetta.


Slegare la bestia: aggiornamenti dal Pigneto.

La vicenda del Pigneto si complica con l’intervista al “capo” che a suo dire sarebbe andato lì per risolvere a cazzotti “uno contro uno”, come si fa al quartiere, la vicenda del portafogli. Niente svastiche, anzi, tanto amore per il Pigneto, qualche annetto di carcere alle spalle e pure un Che Guevara tatuato sul braccio. Il branco era invece formato da ragazzetti del quartiere che conoscevano la storia del furto e, di testa loro, avrebbero trasformato il regolamento di conti in una spedizione punitiva contro la comunità bengalese, usando i caschi e tutto il resto. La versione del tizio, in procinto di andarsi a consegnare alle autorità è questa. Vera o edulcolorata che sia, la rappresaglia per un singolo crimine estesa a tutta una comunità di immigrati resta la sostanza della vicenda. Il comportamento squadristico, l’assenza dello Stato e il generale clima di merda restano tal quali. Racconta l’intervistato come una sua vicenda personale si sia trasformata in qualcos’altro:

“A pezzi de merda che state a fa’? Annatevene da lì, a rincojoniti![…]come ho letto sui giornali, dicono che hanno sentito “il Capo” dare ordini in italiano. Ma quali ordini? Io li stavo a mannà a fanculo perché mi era presa paura. Avevo capito che casino stava montando.[…]Avevo capito che, senza volerlo, avevo slegato la bestia.”

Il rischio di slegare bestia è proprio quello da cui l’Italia deve guardarsi.

Slegare la bestia. Quando si dice una metafora perfetta.


Le mille acrobatiche varianti della rissa tra balordi.

Fa un effetto strano e sconcertante quando il clima di un’intera città cambia in fretta, apparentemente di colpo, soprattutto quando assumono rilevanza collettiva quelli che sembravano i tuoi incubi personali. Prima dei fatti gravi che finiscono in prima pagina, infatti, vi sono migliaia di eventi minori, piccole perturbazioni che stridono con la realtà consueta sintomo, talvolta impercettibile, che questa sta cambiando.  Si parte dalla faccia basita di joeCHIP quando a Ponte Sisto per farsi largo  tra la folla una biondina  condisce i propri  spintoni con un  negro di merda levate dar cazzo, indirizzato , tra i molti che le ostruiscono il passaggio, ad un gigante senegalese. Si passa per quel ragazzetto di nemmeno vent’anni che io e Brigante dobbiamo dissuadere a Campo de Fiori mentre  vorrebbe prendere a cascate in faccia un ambulante del Bangladesh che lo accusa di avergli rubato delle penne (e l’italiano gliele aveva rubate davvero). Comincia così  e poi, soltanto poi, segue la cronaca piu’ grave quella di cui si parlava nei post precedenti, quella che mediaticamente va disinnescata tramite la depoliticizzazione del gesto criminale.

Ad esempio nella cronaca della recente aggressione del Pigneto,  seguendo il consueto copione, le svastiche individuate dai primi testimoni oculari svaniscono  nel nulla (chissà se ci sono mai state davvero) e con esse la matrice politica dell’aggressione ai negozianti bengalesi. Si sposa la tesi della ritorsione per il furto d’un portafoglio avvenuto poche ore prima da parte di un avventore del primo negozio aggredito. Si sposa cioè la tesi degli aggressori, per non disturbare il clima di dialogo che vede maggioranza e opposizione concordi nell’affrontare il tema sicurezza: causa, come è noto, di ogni italico soffrire. Il fatto che non fossero stati i negozianti in questione a rubare il portafoglio, il fatto che il presunto furto sia stato soltanto usato dal capobranco a pretesto per l’organizzazione del raid, il fatto che  siano stati coinvolti negozi adiacenti gestiti da immigrati che nulla avevano a che fare col furto, diventano questioni irrilevanti.

Come ci spiega l’onorevole Gasparri, che di neofascismo un tempo se ne intendeva, “La violenza va sempre condannata e con essa il tentativo di strumentalizzarla”. Non avevano il fez né le divise da gerarchi e non cantavano Giovinezza, quindi non si tratta di violenza politica. Parlare di un clima neofascista in Italia appena una banda organizzata di giovanotti pesta e aggredisce degli immigrati inermi, è dunque una bieca strumentalizzazione.

Piu’ facile spiegare, come fa Alemanno, che la colpa è del lassismo della sinistra sulla sicurezza, intendendo forse che non ci si puo’ aspettare altro che le squadracce se non si risolve la questione del furto di portafogli.

Più ardua l’acrobazia per depoliticizzare il pestaggio del  conduttore di Deegay.it Christian Floris, avvenuto invece venerdì. Il ragazzo è italico fino al midollo e per giunta di carnagione chiara, non è quindi riconducibile all’insicurezza degli italiani e al degrado notturno dei viali e delle stazioni. Che si tratti di un caso di omofobia contro un omosessuale in qunto tale, perché questi si batte per i diritti dei gay e lavora in un portale webradio legato a quel mondo? Un aggressione politica?

Attenzione, non corriamo. Già vi vedo con le vostre assurde illazioni voi perfidi strumentalizzatori… Non dovremmo forse chiederci invece se, più semplicemente, a coloro che lo hanno mandato all’ospedale non piaceva la musica che passava in trasmissione? E in quel caso, possiamo forse dire che la musicofobia sia di estrema destra?

Come volevasi dimostrare il neofascismo in Italia non esiste né come movimento politico organizzato, né come clima culturale generalizzato che offre alla gente le sue facili risposte trasformandosi in azione xenofoba criminale, rappresaglia, pogrom e, perché no, voti.

Nell’anno del 60esimo anniversario della Costituzione antifascista, tra una via dedicata ad Almirante e l’istituzione un commissariato etnico, la politica italiana impara ad essere finalmente bipartizan e antideologica.  Nessuno dagli scranni del parlamento soffia sul fuoco della rabbia popolare contro il diverso, legittimandola di fatto. Chi dice il contrario vuole soltanto sabotare il clima politico finalmente pacificato tra maggioranza e opposizione. Perchè la violenza è sempre da condannare, ma anche chi la strumentalizza…

Voglia di nucleare: Scajola contro Rubbia.

Dopo anni di disinteresse e bufale consolatorie l’imminente crisi energetica sta diventando argomento di primo interesse anche sui maggiori  organi di stampa mondiali, al punto che sempre più spesso si discute sui  tempi e sugli impatti a breve termine e quasi non più sulla fondatezza di tali preoccupazioni. Col tempo si spera arriveranno anche le preoccupazioni sul medio-lungo termine e, gradatamente, una presa di coscienza che preveda piani d’intervento in grado di ripensare l’attuale sistema in maniera organica, cioè senza agitare improbabili bacchette magiche o salvifiche mistificazioni. L’alternativa sarà vedere gli Stati Nazione, incapaci di imporre una costosissima riconversione al proprio sistema economico-industriale, scannarsi per gli ultimi barili di petrolio, cioè: parola alle armi.

In un’intervista di qualche mese fa Carlo Rubbia si è espresso chiaramente contro il ritorno al nucleare come via praticabile e conveniente per far fronte a tale crisi, ribadendo poi la stessa tesi in dibattiti pubblici e interviste televisive. L’intervista era incentrata sull’urgenza di scelte strategiche da parte dell’Italia che verrà colpita prima e più duramente a causa della nostra cronica scarsità di risorse fossili. Sulla stessa linea, contraria al nucleare e favorevole ad una riconversione massiva e drastica verso le energie rinnovabili si sono espressi anche centinaia di docenti e ricercatori universitari, con un pubblico appello ai candidati prima delle recenti elezioni. Da ultimo oggi sul Manifesto l’intervista ad Alberto Fazio, astrofisico responsabile del progetto IBGP/AIMES (Analisys, Integration, Modelling of the Earth System) ribadisce il concetto e fornisce un quadro preciso e ancora più allarmante della situazione.

Le valutazioni quasi unanimi fornite dalla comunità scientifica italiana vedono il nucleare come una soluzione costosa, con tempi di messa in opera troppo lunghi, legata ad una risorsa esauribile e dunque di corto respiro (20 anni per l’uranio Rubbia-Goodstein), con problemi di sicurezza contenibili ma non eliminabili e uno problema di smaltimento delle scorie per cui non è ancora stata trovata una soluzione definitiva e soddisfacente. La stessa UE pur non osteggiando le nuove centrali non le inserisce tra le risposte strategie ai problemi energetici e climatici e gli USA non ne costruiscono di nuove ormai da trent’anni.

Il ministro Scajola, che dubito ignori gli appelli degli scienziati in questione, parla di “occasione nucleare” da non perdere. Eppure su questa tecnologia di corto respiro, che non promette innovazioni significative prima del 2025 ( quando potrebbe partire la quarta generazione di centrali), l’Italia è drammaticamente indietro, mentre su altre tecnologie come l’eolico e il solare che vengono abbondantemente adottate in Spagna e in Germania con un gap che saremmo ancora in grado di coprire, vi sarebbe davvero spazio per produrre brevetti e innovazione (si veda il progetto Archimede dello stesso Rubbia). Di quale occasione va parlando dunque il ministro? Se la comunità scientifica è ostile a tale soluzione e lo è da posizioni non ideologiche ma dettate dai fatti, su suggerimento di chi il Scajola ha deciso di puntare dritto sul nucleare entro questa legislatura ribadendo il concetto come un irrefrenabile tormentone in ogni sua esternazione pubblica? Se non è all’interesse strategico del paese e dei suoi cittadini cui si guarda, a quale altro tipo di interesse si sta facendo riferimento?

 


Ieri Emma Marcegaglia, parlando in rappresentanza anche di coloro che grazie a lauti finanziamenti pubblici le centrali le dovranno costruire, si è fatta pubblicamente promotrice del ritorno al nucleare, mentre l’Amministratore Delegato di ENEL Fulvio Conti si dichiarava favorevole e pronto a partire non appena ottenuto il placet del governo.  Se questi sono gli interessi in gioco, il ministro sta allestendo il consueto banchetto per gli uccelli necrofagi dell’imprenditoria italiana, che da anni si cibano della carcassa dello Stato.

Da qui all’inizio della costruzione delle centrali passrà parecchio tempo e una qualche forma di dibattito dovrà pure essere fatta. Cosa contrapporranno ai moniti di Carlo Rubbia? Le intuizioni scientifiche di Gabriella Carlucci già indomabile e patetica protagonista, all’epoca dalle file dell’opposizione, del caso Maiani?

Nazirock, nazi-shock e l’eterogenesi di Fini. (II)


[…SEGUE]Succede così che gli Ultrà diventano soltanto vandali e l’evidente politicizzazione e contiguità culturale dei gruppi con l’estrema destra neofascista, sfuma nel nulla mediatico. Lo stesso omicidio di Renato Biagetti (frequentatore di CSO) sul litorale di Focene nel 2006 da parte di un coetaneo fascista che gli infligge 10 coltellate avviene per futili motivi. L’agguato subito da DAX (anche lui dei CSO) ad opera di due fascisti che lo uccidono a Milano,  viene presentato inizialmente dai media come rissa tra balordi-estremisti.

Poi ci sono le aggressioni esplicitamente e innegabilemnte politiche, come quella di Villa Ada e quella al Circolo Omosessuale Mario Mieli sempre nella capitale, intervallate da un’infinità di episodi minori riportati nei trafiletti.

Il risalto mediatico di quest’ultime è stato secondario perché non c’è scappato il morto. A Villa Ada arrivarono due volanti delle forze dell’ordine e gli assaliti fecero in tempo a chiudere il cancello del parco. Al Circolo Mario Mieli gli assalitori non trovarono opposizione da parte degli appartenenti al circolo. Ma se i primi o i secondi avessero potuto o voluto difendersi reagendo all’aggressione, cosa difficile da biasimare mentre ti bastonano o devastano casa tua, cosa avrebbe garantito un esito diverso da quello tragico di Verona?

Si galleggia quindi in questo discrimine continuo tra  criminalità vandalica o da stadio e crimine politico, rifuggendo un’analisi complessiva del fenomeno per interessi soprattutto elettorali, cui i media principali si piegano senza batter ciglio.  Sono gli stessi media, principalemnte televisivi, che stigmatizzano ogni cazzata detta da Caruso, Casarini o addirittura Grillo, agitando puntualmente il fantasma degli anni piombo e contestualmente riducono i fucili di Bossi a una innocua boutade da mattacchione o da demente, a seconda delle fonti.

Per l’ennesima volta vorrei ricordare come cominciarono gli anni di piombo. Cominciarono con le stragi nere (dicembre 1969, un anno prima del Golpe Borghese) e con i pestaggi dei neofascisti contro i  compagni  che fino al 1975 furono in rapporto di quasi 10 a 1 rispetto a quelli di matrice opposta. Lo si tenga presente se si vuole evitare un ritorno a quegli anni di merda, valutando l’urgenza di un’analisi del fenomeno che ne descriva le reali dimensioni e, nel caso delle curve, i potenziali bacini espansione soprattutto nelle aree di giovanili.

Bisognerebbe quindi leggere più in profondità il fenomeno sotto tutti i punti di vista ed aprire un dibattito serio e necessario. Questo era  il preciso intento di Lazzaro  autore del documentario Nazirock, di cui avevo scritto poco prima dell’uscita in libreria. L’uscita in in due sale cinematografiche rispettivamente a Roma e Milano è stata invece bloccata dalle pressioni di Forza Nuova. Il documentario, che ho poi acquistato in DVD, è molto focalizzato sugli aderenti alla formazione di Roberto Fiore, quasi un reportage monotematico su uno dei loro raduni politico-musicali e perde forse l’occasione per fornire una panoramica più ampia sulla scena neofascista e sulle connessioni con le frange del tifo estremo (seppure vi e’ una parte legata alle connessioni con la politica parlamentare e con l’extraparlamentarismo di destra degli anni ’70).

Il dibattito forse adesso si aprirà o bisognerà attendere il prossimo morto?

Da Nazirock emergono comunque elementi di discussione interessanti e considerazioni innegabili, come quelle che consegnano ormai al ridicolo lo stupore retorico e cretino davanti ai “ragazzi di buona famiglia”, estranei al degrado socio-economico  da cui ci si aspetterebbe  questo e altro.  Ci si dimentica, puntualmente, che il fascismo  storico  ebbe l’appoggio  entusiastico  della prima ora soprattutto della piccola  borghesia, in particolare dei giovani irredentisti o anticomunisti appartenenti a questo strato sociale, affascinati dagli slanci vitalistici e dalle retorica del Duce. Le fasce davvero emarginate, socialmente ed economicamente deboli, a quell’epoca avevano problemi a procurarsi il pane, non parlavano nemmeno italiano e se ne sbattevano altamente di cio’ che avveniva fuori dalla loro provincia, figuriamoci quanto potessero essere attratti dell’idealismo Gentiliano, della magniloquenza D’Annunziana o dalle pompose pantomime Mussoliniane. Certo, poi venne appoggiato anche dalla grande industria e da parte degli strati popolari agricoli, infine da frange operaie che col mito del regime e sotto la sua propaganda (era nata intanto la rete radiofonica) erano nati, raggiungendo con tutta probabilità la maggioranza degli italiani.  Eppure si cominciò da lì, dai figli della piccola borghesia non troppo distanti nella scala sociale a tanti di quesi pariolini che furono neofascisti negli anni ’60 e ’70.

In Italia però la memoria è una coperta corta, tenuta nell’armadio gran parte dell’anno e utile soltanto a  coprire le vergogne durante le celebrazioni ufficiali.

Nazirock, nazi-shock e l’eterogenesi di Fini. (I)


Avrebbe avuto buon gioco il neo Presidente della Camera nel limitarsirimarcare la natura non politica dell’omicidio di Verona, senza bisogno  di scadere nell’affermazione inaccettabile per cui le bandiere bruciate a Torino sarebbero più gravi della morte di un ragazzo. Anche se l’affermazione  c’è stata e  per la terza carica dello stato non è un bell’inizio, vorrei ragionare sul primo aspetto che attiene ad una strategia politico-comunicativa ben piu’ vasta.  Avrebbe avuto buon gioco, dicevo, perché su questa falsariga si regge da anni gran parte del doppiopesismo mediatico che fa di tutto per non analizzare politicamente fenomeni di violenza contigui al neofascismo, perpetrati da neofascisti, ma scatenati per futili motivi.

E’ il caso della violenza Ultrà etichettata dai media come teppistica, perpetrata cioè da vandali decerebrati senza alcuna connotazione ideologica. Il fatto che quei vandali espongano vessilli di estrema destra,i loro capi abbiano spesso nella tasca dei jeans la tessera di Forza Nuova accanto a quella dello stadio e che quasi il 100% dei gruppi ultras(*) si dichiarino di destra sembra non avere importanza.

Il mantra è il seguente: se un gruppo di fascisti aggredisce un bersaglio al grido di Forza Inter o Forza Roma o per futili motivi, l’aggressione non è politica mentre se lo fa al grido di Viva il Duce, il discorso cambia. Sono spesso le stesse persone, ispirate dalla medesima mentalità guerriera, che fanno branco intorno ad un senso di appartenenza estetico-campanilistico che si esprime di volta in volta nel cameratismo fascista o nella mentalità Ultras eppure si evita accuratamente un’analisi che metta in collegamento diretto i due fenomeni, “sommandone” gli effetti e le tendenze.

Perché questa linea di demarcazione è così strettamente difesa dai media e da una parte della classe politica (come del resto le dichiarazioni di Fini dimostrano)?

Perché evidenziando e analizzando gli evidenti elementi di affinità tra i due fenomeni si rischierebbe  una ricaduta elettorale per parte del bacino elettorale della Lega-PDL e per bacini ad esso contigui, utili magari in contesti locali, come riserva anticomunista ai ballottaggi e per alleanze piu’ strette in caso di avanzate future del centro-sinistra.

Questi  bacini elettorali interni alla destra istituzionale hanno referenti precisi e i loro nomi sono Borghezio, Alessandra Mussolini e Ciarrapico(**). Quelli esterni ma contigui sono rappresentati chiaramente da Storace (ex ministro Cdl, oggi Destra-Fiamma Tricolore) e dalla  Forza Nuova di Roberto Fiore, appena due anni fa tra i cavalieri neri della nipote del Duce.

Da questi ultimi alle frange peggiori del movimento ultrà, tanto stigmatizzato dall’opinione pubblica in ogni occasione, il passo è breve, ma la parola d’ordine è  che tale passo non va fatto e l’estrema destra ex-parlamentare svolge ottimamente il proprio ruolo di cuscinetto.

 

Sia chiaro, la paura non è tanto quella di perdere  i voti  dei vetero-fascisti, di cui il PDL ha dimostrato alle recenti elezioni di non aver bisogno e a cui potrebbe attingere comunque in chiave anticomunista, il problema è non spaventare l’elettore moderato, che si vuole liberale e democratico e nulla sente di avere a che fare col vetero-fascismo, se non forse un generico sentimento di ripulsa.
Lo stesso Ciarrapico viene candidato anche se esplicitamente fascista, quindi con un ritorno di immagine potenzialmente negativo verso l’elettorato centrista, non perché portatore di voti fascisti ma perché portatore di voti dei lettori dei giornali locali diffusi in  regioni in bilico, quindi moderati/indecisi. A questo proposito va detto che il candore del cavaliere è stato quasi commovente. [CONTINUA…]


(*) Fanno eccezione Livorno (vetero-comunisti), Ternana (no-global) e pochissime altre tifoserie di SX.
(**)Ma qui il discorso vedremo dopo che è decisamente diverso.